Nel corso della lunga maratona sulla legge di revisione del sistema sanitario lombardo è emersa una certa ignoranza da parte dei colleghi circa l’essenza della Casa della Comunità, oltreché un’innaturale predilezione verso la privatizzazione del sistema e della Casa della Comunità stessa. Sono due facce della stessa medaglia che meritano una decisa posizione politica di contrasto.
Abbiamo presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità in relazione alla decisione di consentire la gestione ai soli medici di medicina generale (MMG) riuniti in cooperativa, poiché ciò risultava discriminatorio non solo verso le altre figure di medici ma anche nei confronti degli infermieri, considerati meno importanti. Tuttavia, l’atteggiamento della maggioranza è stato quello di ignorare il problema, insieme agli articoli 3, 42 e 117 della Costituzione.
Ma qualora la maggioranza, in un sussulto di diligenza, dovesse estendere anche alle altre categorie professionali la possibilità di gestire le Case della Comunità, la situazione non sarebbe comunque risolta. Infatti, un altro articolo della legge di revisione consente la gestione delle stesse ai privati accreditati.
Ecco che emerge il grande amore tra la Giunta Fontana e i privati che costituisce, al tempo stesso, un tradimento verso i cittadini lombardi.
La Casa della Comunità, intesa come naturale evoluzione delle Case della salute già presenti in altre regioni, deve necessariamente essere pubblica, altrimenti non può considerarsi di «comunità». Sarebbe un po’ come voler sostituire il Consiglio comunale con un centro commerciale. L’essenza della Casa della Comunità è infatti quella di vedere la partecipazione attiva della comunità locale, con tutto quel capitale umano fatto di volontariato e di solidarietà, che sono mal conciliabili con il profitto del privato.
Se con il PNRR si fosse voluto creare un luogo in cui poter ricevere cure specialistiche, si sarebbe potuto anche solo ampliare la rete dei poliambulatori. Se ai poliambulatori si fosse voluto aggiungere il servizio delle cure primarie con la presenza di MMG, pediatri e infermieri, sarebbe bastato il modello tosco-emiliano delle Case della salute.
Ma i fondi del PNRR sono proprio destinati a sostenere un cambiamento culturale in cui dalla ospedalizzazione e alla medicalizzazione del sistema sanitario italiano si passi ad una sanità più orientata alla prevenzione che alla cura. Un luogo in cui, tramite la presenza di assistenti sociali, si possano alleviare le sofferenze di coloro che abusano di alcol, droga o semplicemente hanno una errata alimentazione o hanno stati di ansia e depressione causati anche dallo stress della quotidianità. Insomma, una «casa» in cui ci si possa aiutare e che costituisca la naturale evoluzione delle forme di solidarietà che vigevano un tempo nelle corti delle cascine lombarde.
Un luogo in cui si viene presi in carico e accompagnati in un percorso di assistenza che non faccia sentire meri clienti o utenti, ma persone del cui benessere le istituzioni si vogliono prendere cura. Ma forse in Lombardia si preferisce avere clienti che diventano elettori e pazienti da assistere (preferibilmente nella sanità privata), piuttosto che cittadini di cui curare il benessere fisico, mentale e sociale.