L’orrenda vicenda del coronavirus, purtroppo ancora in corso, ha aperto uno squarcio su quel che potrebbe definirsi ‘feudalesimo sanitario lombardo’. Preferisco non interpretare le disposizioni d’urgenza adottate dal Governo e non giudicare le modalità di azione di Regione Lombardia: a entrambi, in questo delicatissimo passaggio temporale, rivolgo tutto il mio appoggio e piena disponibilità a collaborare proficuamente, nel difficile compito al quale sono impegnati. Responsabilmente, cerco però di capire, dalle modalità di azione, se la situazione in cui ci troviamo sconti dei ‘vizi originari’, risalenti, riconducibili alle peculiarità del sistema sanitario lombardo di matrice ‘formigoniana’.
Lo faccio muovendo dalle parole del Presidente della Regione, Attilio Fontana, che, il 1° marzo, affermava: “Ringrazio il settore privato che ha dichiarato la volontà di collaborare in maniera fattiva. Già da domani, 14 medici entreranno nel nostro sistema per collaborare”. A seguire, la dichiarazione secondo cui, da “domani, ci saranno 45 ambulanze in più attive sul territorio lombardo”: “a 15 giorni dall’inizio dello stato di emergenza sanitaria per il Covid-19 – si legge in una nota – gli Enti territoriali, ANPAS, CRI, Croce Bianca, FAPS e FVS rispondono unanimi alla richiesta dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (AREU) di potenziare ulteriormente la propria presenza in ambito regionale”.
Rimane come, alla fine dell’epidemia da coronavirus, la sanità pubblica lombarda risulterà devastata per lo sfiancante carico di lavoro alla quale è stata sottoposta, emergerà la necessità di rinnovare impianti e attrezzature che saranno rese stremate da questa situazione di vera e propria guerra.
Il privato, invece, legittimamente si pone in un’ottica del tutto diversa: quella di erogatore di servizi, da prestare a prezzi non definiti, ma che – è altrettanto legittimo immaginarlo – non possono che essere remunerativi, in adempimento alle leggi commerciale e di mercato. Se così non fosse, qualcuno dovrà, prima o poi, spiegarci perché esistono imprenditori che investono in ospedali privati. Qualcuno dovrà spiegarci anche qual è la ratio alla base di un sistema di sanità privata che, a livello quantitativo, è pari al sistema sanitario pubblico. Anzi: se si ha riguardo all’assistenza domiciliare integrata, o alle Residenze Sanitarie Assistenziali, il privato occupa il 90% del mercato, lasciando alla componente pubblica un misero 10%. E anche dove la sanità privata è garantita da ONLUS o, comunque, da operatori del terzo settore, siano anche a scopo religioso, mi permetto di osservare come la linea di demarcazione tra profitto ed etica si sia fortemente ridotta.
In definitiva, in Lombardia il sistema sanitario ricorda molto il sistema dei rapporti politici, economici e sociali di età feudale.
Accanto al sistema sanitario pubblico, abbiamo un parcellizzato sistema di strutture sanitarie private, che assomigliano ai Signori feudali e che, parimenti a questi, hanno sviluppato un sistema di rapporti che, anziché di vassallaggio, si chiama di accreditamento (delle strutture e della cura dei pazienti: un sistema che, restando in tema, ricorda da vicino le ‘cure’ che il Signore offriva ai sudditi quando chiedevano protezione). E’ chiaro che, come nel Medioevo, gli assetti economico-sociali incidono anche sugli equilibri politici. Il feudalesimo venne superato quando i Sovrani, costituendo gli ‘Stati nazione’, riuscirono a fare prevalere l’interesse nazionale rispetto agli interessi localistici dei feudatari.
Se la sanità privata continuerà a pervadere la dimensione della salute delle persone, sarà messa a dura prova la stessa efficacia del riconoscimento costituzionale del diritto alla salute, oltreché del principio di unità della Repubblica. Un poco meditato regionalismo differenziato e l’eccessiva privatizzazione del sistema sanitario avrebbero effetti distorsivi sul sistema, con il rischio della ‘polverizzazione’, non solo della sanità in sé, ma di tutto il sistema dei rapporti istituzionali, politici, economici e sociali.
La vicenda del coronavirus, in definitiva, lascia emergere tutti i limiti di un sistema politico-economico-sociale che si riteneva invincibile e che, invece, scopre di avere optato per strategie che, di fronte ad una prima reale prova di forza, hanno mostrato tutti i limiti del caso.