Oggi in aula si è discusso il progetto di legge sulla programmazione negoziata di interesse regionale.
Ma andiamo per gradi, sapete cos’è la programmazione negoziata?
È uno strumento che viene utilizzato per sostenere e accelerare gli interventi di sviluppo che coinvolgono diversi soggetti, tra pubblici e privati, e che implicano decisioni istituzionali e lo stanziamento di risorse finanziare a carico delle amministrazioni pubbliche.
In parole semplici potremmo dire che è una negoziazione atta a coordinare l’azione dei soggetti istituzionali (istituzioni ministeriali, enti locali, apparati amministrativi, imprese pubbliche) e dei poteri economici e sociali (imprenditoriali, sindacali, culturali, finanziari, associativi) che hanno forte influenza nei processi di sviluppo.
Bene, oggi il progetto di legge regionale ha mostrato tutti i limiti di una legislazione ormai superata.
I limiti di una legislazione che pone gli interessi trattati come “propri”, gestendo questi ultimi non nell’ottica del bene comune.
Il secondo comma dell’articolo 42 della Costituzione così recita: “I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.
Lo stesso discorso vale per l’iniziativa economica privata (art. 41 Costituzione) che è libera, ma allo stesso tempo non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o arrecando danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Accanto a questi principi si è fatta avanti negli anni la teoria dei beni comuni riferita a quei beni «che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali».
Basti ricordare le res communes omnium di Marciano (giurista vissuto nel III d.C.), che faceva rientrare tra questi beni l’aria, l’acqua corrente, il mare e, conseguentemente, il lido del mare (aer, aqua profluens, et mare, et per hoc litora maris).
Attraverso questa teoria si è arrivati ad una tutela assai ampia di interessi comunitari ed universalistici. E così, la proprietà collettiva implica non il potere di disporre del bene, ma solo la facoltà di un suo uso corretto e condiviso con gli altri consociati, al fine di conservarlo per le future generazioni.
Oggi è parso perciò palese che il progetto di legge in analisi, abbia come specifico obiettivo la gestione di beni come “il territorio” in un’ottica privatistica e senza tenere conto dell’interesse della comunità locale, che non può essere fatto coincidere con quello dell’amministrazione che gestisce in quel momento l’ente locale.
Ben più ampio è il concetto di comunità locale che coincide almeno con quella di tutti gli elettori come previsto in tema di azione popolare ex articolo 9 del TUEL.
Ebbene, alla comunità locale che è portatrice di interessi diffusi, non è data nessuna tutela e nessun diritto a partecipare ai procedimenti disciplinati dalla normativa in esame. In nessun caso è prevista la partecipazione di comitati di cittadini o la preventiva consultazione degli interessati che saranno coinvolti dagli effetti dei provvedimenti di cui alla legge in approvazione.
Stiamo parlando di accordi che passano sopra la testa dei cittadini senza che questi siano minimamente coinvolti nelle decisioni e, senza che neppure abbiano la possibilità di agire in giudizio, in quanto spesso viene negata loro la legittimazione attiva in quanto non portatori di interessi meritevoli di tutela.
Basti pensare che con queste tipologie di accordi, spesso si modifica il territorio per effetto di nuovi insediamenti produttivi che comportano effetti collaterali come l’aumento dell’inquinamento, del traffico e altre situazioni denominate dagli economisti “esternalità negative”.
Ebbene, di tutto ciò si occuperanno esclusivamente le istituzioni o enti pubblici o privati più o meno qualificati con completa esclusione di cittadini organizzati.
Ai cittadini sarà privato il potere di poter partecipare alla fase procedimentale e di poter far valere eventuali illegittimità in quando non saranno riconosciuti come titolari di posizioni giuridiche meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
Si è persa, ancora una volta, una occasione per coinvolgere nell’ambito di tali procedimenti la società civile, i comitati spontanei, i cittadini che si battono per la tutela di singole posizioni, per dare legittimazione ad accordi tra enti sempre più distanti dai cittadini e che spesso tutelano solo una minoranza organizzata.